Benedetto Croce a Raiano
Quando pensiamo a Benedetto Croce ce lo immaginiamo a Napoli, nel suo studio affollato di libri di casa Filomarino. Eppure c’è stato un tempo in cui sarebbe stato possibile incontrarlo mentre passeggiava meditabondo sulla via di S. Venanzio o lungo il tratturo a Raiano. Per sette anni, dal 1907 al 1913, il filosofo - ancora giovane allora, essendo nato nel 1866 - era solito passare parte dell’estate nel piccolo paese abruzzese. Era ospite della cugina Teresa, nel palazzo dei Rossi Sagaria, la famiglia più in vista del borgo. Erano vacanze le sue molto diverse da quelle massificate, nevrotiche e rumorose di oggi. Le passeggiate e le conversazioni in famiglia erano solo una pausa dello studio. Fu qui, infatti, che Croce scrisse la monografia su “La filosofia di Giambattista Vico”, come si può apprendere dalle lettere che scriveva al filosofo napoletano suo amico, Enrico Ruta, per informarlo del rapido procedere del lavoro. Il testo, pubblicato dalla Laterza, è datato “Raiano, settembre 1910”. Capitava che la vita in famiglia fosse a volte animata dalle visite di amici intellettuali, come il filologo Cesare De Lollis, il poliedrico Antonio Anile, l’editore Giovanni Laterza. Scrive quest’ultimo che proprio :”A Raiano ed al palazzo Rossi Sagaria è legata la storia degli “Scrittori italiani”. L’idea fu del filosofo. Era il 18 settembre del 1909. Passeggiavano insieme per la campagna quando Don Benedetto espose all’editore l’idea di una collana di scrittori italiani. Si doveva trattare di non più di 200 volumi di circa 350 pagine ciascuno. L’idea entusiasmò Laterza, che ricorda anni dopo, nel 1926: “ la notte stessa nella camera al secondo piano di quest’ampio palazzo, in cui ero ospitato estesi il piano economico della prima serie di dieci volumi”. E aggiunge, soddisfatto, quando i volumi pubblicati sono quasi un centinaio, che “Benedetto Croce, scegliendo Raiano per indurmi ad attuare una sua idea così importante per la cultura italiana, deve aver tenuto presente che per disporre l’altrui mente a fecondare le idee proprie occorre anche il concorso dell’ambiente per predisporre lo spirito, e Raiano e casa Rossi-Sagaria influirono per davvero su lo spirito”. Il filosofo non disdegnava di interessarsi della storia locale. Non è forse vero, come sostiene Leibniz, che in ogni goccia d’acqua c’è tutto l’universo? Così, come scrisse una monografia su Pescasseroli, suo paese natale, e su Montenerodomo, borgo paterno, si accinse a scriverne una su Raiano. Ma, purtroppo, non giunse a finirla. Di quel lavoro restano solo dei concisi appunti: “I feudatari di Raiano”, e ci sfuggono i motivi che lo indussero a lasciarlo incompiuto. Ottaviano Giannangeli, che per primo si è interessato delle vacanze raianesi di Croce, riferisce che i vecchi del paese ricordavano con simpatia il filosofo che non disdegnava di parlare con tutti e che a un certo Pomponio consegnò, per i futuri figli, un lista di una trentina di nomi latini adeguati al suo aulico cognome. Consigli accolti, se due di essi portavano nomi da lui suggeriti. Il ritratto che ne facevano gli anziani ricalca lo stereotipo popolare del filosofo. Era tanto preso dai suoi pensieri che una volta finì con i piedi in un canale di irrigazione che correva accanto alla strada e un’altra volta andò a sbattere contro un animale squartato appeso al gancio di una macelleria. Il paese si sentiva onorato per la sua presenza. Tanto che il 17 marzo del 1910, a seguito della sua nomina a senatore del Regno, il Comune gli tributò un’accoglienza solenne, con festeggiamenti al suo arrivo alla stazione, con banda, discorsi, ricevimenti e intitolazione di una strada a suo nome. Caso raro o forse unico per un personaggio ancora in vita. Ma provvide il Duce a cancellarla nel 1928, con una specifica legge sulla toponomastica. Fu forse una ritorsione nei confronti di colui che aveva redatto tre anni prima il Manifesto degli intellettuali antifascisti?
Un mistero aleggia sulle tranquille vacanze raianesi. Sul registro dei morti del Comune, risulta, in data 1913, una signora, Angelina Zampanelli, come “moglie del Senatore Benedetto Croce”. Ma come, se Don Benedetto si sposò dopo la morte della Zampanelli, con la laureanda torinese Adele Rossi? La signora Angelina, gentildonna di grande bellezza, detta la “Principessa”, ospite anch’essa di casa Rossi-Sagaria, sembra che fosse il motivo principale delle vacanze raianesi e l’ “ispiratrice del filosofo al punto che costui le girava attorno, come a un centro luminoso, tenendo in mano un libro”. Edmondo Cioni, ne “Il Tempo” del 28 febbraio1964, conferma la “crisi sentimentale” del filosofo per la bella Angiolina, ma nulla di più. Perché, allora, quella annotazione? Forse il pettegolezzo era andato tanto oltre che tutti o molti ritenevano che i due fossero sposati e tali li ritenne l’impiegato comunale, da non preoccuparsi nemmeno di trovare riscontro nei documenti cartacei?
Ezio Pelino
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